USA 1921: Minatori in armi

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cucchiaroni82
view post Posted on 20/11/2011, 01:57




USA 1921: Minatori in armi

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A fine estate del 1921, mentre da due anni era in corso un durissimo sciopero nelle miniere di carbone del West Virginia, qualcosa come diecimila minatori, armati di fucili e pistole, si misero in marcia verso le contee di Mingo e Logan, sottoposte a legge marziale, per dare manforte ai loro compagni – un vero e proprio esercito, completo di carri, di rifornimenti e di pronto soccorso. Il conflitto era violentissimo: da una parte, intere comunità strette intorno alle miniere e portatrici di una gloriosa tradizione di lotte; dall’altra, il padronato, con le sue polizie private, i suoi picchiatori, la stampa e la magistratura, il governo locale e quello federale. Le miniere del West Virginia erano molto produttive e non sindacalizzate, e ciò significava enormi profitti per le compagnie minerarie e paghe basse, lunghi orari, forte incidenza di incidenti mortali per i minatori, miseria assoluta per intere famiglie. La campagna di sindacalizzazione promossa dagli United Mine Workers (UMW) aveva incontrato la resistenza accanita delle compagnie, che avevano messo in campo tutte le proprie forze, legali e illegali: killer prezzolati, sceriffi, picchiatori di professione, spie e provocatori delle agenzie private Pinkerton e Baldwin-Felts, vessazioni continue nei confronti dei minatori, delle loro famiglie e dei sindacalisti, uccisioni, bastonature, intimidazioni e sfratti. L’anno prima, il 19 maggio 1920, erano giunti nella cittadina di Matewan tredici operatori della Baldwin-Felts, con l’incarico di cacciare dalle case di proprietà della compagnia (la Stone Mountain Coal Company) i minatori che avevano osato aderire al sindacato e scendere in sciopero. Il capo della polizia di Matewan e il suo vice, che s’erano schierati apertamente con i minatori creando una spaccatura nel fronte borghese, avevano cercato d’impedire gli sfratti, ma sei famiglie erano state cacciate in strada. A quel punto, s’era raccolta una folla di minatori esasperati ed era scoppiata una sparatoria, al termine della quale erano rimasti a terra il sindaco, due minatori e sette agenti. Un anno più tardi, il capo della polizia e un altro suo vice erano stati assassinati da un altro agente della Baldwin-Felts, sui gradini del tribunale in cui si teneva il processo per i “fatti di Matewan”.

I diecimila minatori armati avevano ben vivo il ricordo di quei “fatti”, e dei molti altri che s’erano succeduti nel tempo, nel West Virginia come altrove. Il primo dopoguerra negli Stati Uniti aveva conosciuto autentiche fiammate di lotta di classe – dal grande sciopero nella siderurgia a quello dei taglialegna nelle regioni occidentali, dei lavoratori dell’industria alimentare, dei tessili e dei ferrovieri. La reazione padronale e statale non s’era fatta attendere: uso di spie, provocatori e infiltrati, processi, liste nere, incarcerazioni, distruzione di sedi sindacali e politiche, chiusura di giornali operai e di sinistra, rimpatrio forzato di militanti di origine straniera, uccisioni barbare di agitatori sindacali, linciaggi di operai neri… Né va dimenticato che nel maggio 1920, mentre distribuivano volantini per una manifestazione di protesta dopo la morte di un militante italiano precipitato misteriosamente dal quattordicesimo piano dell’ufficio del Dipartimento di Giustizia a New York, erano stati arrestati gli anarchici Sacco e Vanzetti, accusati di una rapina nel Massachusetts, il cui caso si trascinerà fino all’esecuzione sulla sedia elettrica nel 1927. Il 1921, inoltre, era stato anno di profonda crisi economica, con circa tre milioni e mezzo di disoccupati e tagli dei salari fra il 25 e il 50%.

Durante la marcia dei diecimila, giunse la notizia dell’uccisione di cinque minatori negli accampamenti creati per ospitare le famiglie sfrattate. La rabbia esplose e lo scontro armato fu inevitabile, culminando nella “battaglia di Blair Mountain”, che durò alcuni giorni e vide schierati l’esercito di minatori da una parte e duemila poliziotti privati e detective di agenzie dall’altra. Il governatore della West Virginia definì l’azione dei minatori “insurrezione contro lo Stato” e chiese l’intervento del presidente Harding, il quale inviò duemila soldati del 19° Fanteria e in seguito addirittura alcuni aerei bombardieri dell’88° Light Bombing Squadron. Ci furono almeno trenta morti. Di fronte a un tale dispiegamento di forze militari, i minatori dovettero cedere: in più di cinquecento vennero processati e condannati con accuse che andavano dal tradimento alla cospirazione. Lo sciopero, iniziato più di due anni prima, si concluse di lì a poco: soli, abbandonati dagli stessi UMW, privi di una direzione politica rivoluzionaria (i due piccoli partiti comunisti nati nel 1919 non ebbero praticamente voce in capitolo), i minatori furono sconfitti, in uno scontro che aveva già molto della guerra civile [1].

***

I “fatti di Matewan e di Blair Mountain” hanno un prologo e un seguito. Il prologo era durato almeno sessant’anni: i minatori delle regioni carbonifere della Pennsylvania (per lo più di origine irlandese) erano stati protagonisti di duri scioperi negli anni ’70 dell’800, culminati nell’arresto e nell’impiccagione di diciannove militanti operai accusati di far parte dell’organizzazione clandestina dei “Molly Maguires”; e, a fine secolo, situazioni di quasi guerra civile s’erano verificate nelle miniere d’oro, d’argento, di rame degli stati occidentali del Colorado, dell’Idaho, del Montana, dove i minatori, guidati dalla battagliera Western Federation of Miners (che di lì a poco avrebbe partecipato alla fondazione degli Industrial Workers of the World), avevano ingaggiato un violento scontro con il padronato. Il seguito dura fino ai giorni nostri: e passa attraverso altri scioperi, per esempio nel 1931, nella contea di Harlan, nel Kentucky, con i minatori che di nuovo si mobilitano contro l’aperto terrorismo padronale e statale (cfr. Harlan Miners Speak. Report on Terrorism in the Kentucky Coal Fields, 1932), culmina nel 1975, sempre a Harlan, in un altro scontro a fuoco fra minatori e forze legali e illegali, e si ripropone ancora, pochi anni fa, in occasione di altri scioperi (e di altre tragedie minerarie, in una regione letteralmente devastata, anche dal punto di vista geologico ed ecologico, dallo strapotere del “Re Carbone”).

Quella dei “musi neri” è una storia drammatica, gloriosa e incessante. Deve tornare a essere memoria viva, nell’oggi e per il domani, nei proletari di tutto il mondo. Essa ci dice che di lì, da quello scontro inevitabile fra proletari da un lato e padroni, Stato, forze repressive dall’altro, si dovrà necessariamente passare – perché la classe dominante non cede graziosamente il potere, non si mette in disparte (nemmeno nei conflitti locali: figurarsi nel conflitto supremo!). E dunque a quello scontro si deve giungere preparati, politicamente, organizzativamente, praticamente – per difenderci in maniera adeguata, e dalla difesa passare altrettanto efficacemente all’attacco. I “musi neri” di Matewan, di Blair Mountain, di Harlan, di ieri e di oggi, c’insegnano anche questo (ed è questa la memoria preziosa che dobbiamo salvaguardare): a non uscire sconfitti dalle lotte e a prepararci per la battaglia più grande.

[1] Le “guerre del carbone” in West Virginia e Kentucky in quegli anni sono ampiamente narrate da Jeremy Brecher (Sciopero!, Roma1999) e da Alessandro Portelli (America profonda, Roma 2011).



fonte: Partito Comunista Internazionale
(il programma comunista n°05 - 2011)
 
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