Lorenzo Parodi

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cucchiaroni82
view post Posted on 7/11/2011, 23:17




Lorenzo Parodi: implacabile denuncia dell’imperialismo italiano

Il 31 luglio scorso si è spento Lorenzo Parodi, all’età di 85 anni.
Giovane operaio all’Ansaldo Meccanico di Genova durante la guerra, datosi alla macchia per sfuggire alle deportazioni dei tedeschi, milita nel movimento anarchico e partecipa alla costituzione dei Gruppi Anarchici d’Azione Proletaria (GAAP) di orientamento comunista libertario, tra i cui dirigenti sono Arrigo Cervetto e Pier Carlo Masini. Nel 1950 i GAAP sono espulsi dalla FAI per l’orientamento marxista assunto nella concezione del partito rivoluzionario, a favore di vincoli di organizzazione. In fabbrica conduce una costante attività sindacale sostenuta anche da scritti e documenti. Membro del Direttivo nazionale della CGIL, nel settembre 1956 è l’unico a denunciare la repressione dell’insurrezione operaia di Budapest ad opera dei carri armati russi. Nel 1957 con la maggioranza dei GAAP confluisce in Azione Comunista, tentativo di coagulare la dissidenza di sinistra del PCI di Seniga con le organizzazioni della sinistra comunista dirette da Damen e da Maffi e il gruppo trotskista diretto da Maitan. Dopo il fallimento di questo tentativo, Parodi insieme a Cervetto è tra i fondatori di Lotta Comunista a metà degli anni ’60, per la costituzione di un “partito leninista”. Nella nuova organizzazione Parodi dirige l’attività sindacale fino a metà degli anni ’70. Nel 1970 viene pubblicato il suo libro Le prospettive del tradeunionismo in cui vede la possibilità che le lotte operaie spontanee, pur di carattere tradeunionista e non rivoluzionario, travolgano il controllo dei partiti interclassisti imponendo la costituzione di un sindacato unitario, aprendo la strada alla maturazione rivoluzionaria delle avanguardie operaie. In quel periodo sviluppa i temi delle lotte operaie e dei rapporti tra le classi in Italia. Nell’articolo “La pensione interclassista pagata dal proletariato” Parodi denuncia una riforma delle pensioni in cui i contributi dei lavoratori dipendenti pagano le pensioni alla piccola borghesia contadina e urbana. Oggi dovremmo aggiungervi le pensioni dei dirigenti d’azienda. Questa posizione consente di calare nel vivo della lotta di fabbrica l’analisi di tutte le classi sociali, la consapevolezza dell’asservimento dei sindacati alle esigenze del capitale, la necessità di obiettivi autonomi di classe anche nella lotta sindacale, è un esempio concreto di come si possa far assimilare la concezione del “Che fare?” di Lenin.
Con il rifluire delle lotte nei primi anni ’70 l’unità sindacale si arena per poi naufragare, e i partiti parlamentari riaffermano il controllo sui sindacati confederali. I sindacati di base che si formeranno rimangono confinati in singole aree e settori. Le avanguardie di fabbrica rimangono nell’alveo del parlamentarismo e delle varie forme di riformismo, o dell’aziendalismo. Venuta meno quella prospettiva, la sua organizzazione ripiegherà su uno sviluppo dell’organizzazione in sé, scisso dalle lotte operaie.
Dalla seconda metà degli anni ’70 Parodi non avrà più ruoli di direzione, e la sua attività consisterà principalmente negli articoli di storia del capitalismo italiano che compaiono su ogni numero del giornale Lotta Comunista. Articoli che sono un prezioso contributo non solo alla storia dei gruppi economici motori del capitalismo e dell’imperialismo italiano, ma che danno una chiave di comprensione della storia e della politica dell’imperialismo italiano, e a quella speculare del movimento operaio. Tra questi, lo studio del sistema finanziario italiano e mondiale, la sua storia attraverso la crisi del ’29, il sistema della banca mista, l’intervento dello stato nei meccanismi del credito in funzione di capitalista collettivo, il dialettico intreccio di concorrenza e monopolio. Per l’Italia approfondisce la formazione e l’evoluzione di Bankitalia e delle banche italiane in funzione degli interessi del capitalismo italiano, un tassello fondamentale per capire le dinamiche sociali e politiche dell’attuale crisi finanziaria.
Egli scoperchia gli interessi economici che hanno sostanziato le politiche dello Stato italiano, e dimostra la continuità di queste politiche tra Italia monarchica liberale, fascismo e repubblica democratica, perché il mutare della forma politica non ha mutato la natura degli interessi dominanti. Oltre ad evidenziare questa continuità negli uomini, a partire dagli Agnelli, Pirelli, Sinigaglia, demistifica il presunto carattere progressivo del capitalismo di Stato: alla fonte del capitalismo statale - sviluppato negli anni '30 sotto l'egida fascista -“alimentata dalle BIN [banche di interesse nazionale: Comit, Credit, Banco di Roma], dall'Italsider, dall'Ansaldo, dalla Breda, dall'Alfa Romeo e da centinaia di altre imprese, costantemente interessate alla produzione bellica, si sono via via abbeverate correnti fasciste, prima, e della DC, del PSI, del PSDI, del PCI dopo.” Forme politiche e ideologiche diverse, stesso contenuto economico-sociale.

Nella politica estera in particolare, egli dimostra come le varie direttrici: mediterranea, balcanica, europea, atlantica sono state e continuano ad essere la proiezione degli interessi di grandi gruppi economici, mediati nei poteri statali, e del loro intersecarsi con il campo di forze della politica internazionale, dei rapporti tra le potenze, e non il frutto di “volontà politiche” o correnti ideologiche pure. Le ideologie, quelle belliciste come quelle pacifiste-neutraliste, sono strumenti per ottenere l’adesione di massa a quelle politiche.
Così è per il neutralismo del 1914-15 del “partito americano”: «sotto la regìa del gruppo Ansaldo-Banca Italiana di Sconto, col concorso determinante dei cotonieri lombardi e con la consulenza politica di Francesco Saverio Nitti. Il quale, a guerra iniziata, vede il business nella neutralità: “se riusciamo a rimanerne fuori ... l'Italia potrà diventare il grande paese industriale, ereditando molta parte della clientela della Germania, della Francia, del Belgio e forse della stessa Inghilterra”, con la prospettiva di “intese con il governo nordamericano e con le principali organizzazioni finanziarie” USA con l'appoggio delle quali “tenersi pronti ad acquistare i titoli delle società belghe, tedesche e austriache dopo la guerra”. Il pacifismo neutralista è la tattica degli sciacalli, non è lotta al sistema della guerra. Nel 1914-15 esso prepara il capovolgimento delle alleanze, e l'intervento a fianco dell'Intesa.
Analogamente per le guerre coloniali. “Se noi insistiamo sul canovaccio della storia del Banco di Roma - osserva Parodi - per rilevare le costanti della politica mediterranea, è perché essa, più che una predilezione ideologica, è una condizione sulla quale reiteratamente convergono anche quei gruppi settentrionali cui fanno riferimento i liberal ”, cosicché “è costante una politica mediterranea opportunistica, diretta a ritagliarsi una posizione intermedia fra i gruppi di potenze.”
Mentre l’imperialismo italiano sta contendendosi l’influenza in Libia con Francia e Gran Bretagna, e tutti con la Cina, occorre riprendere il metodo marxista e denunciare il ruolo di grandi gruppi come ENI, Finmeccanica, Impregilo, Unicredit nella promozione della politica imperialista italiana nell’area. Anche qui le giustificazioni ideologiche (intervento umanitario, democrazia) sono le foglie di fico di quegli interessi.

Nel filone delle riflessioni di Parodi sul movimento operaio, troviamo insieme alla critica dell’opportunismo del PSI quella alle posizioni ordinoviste di Gramsci, di cui Parodi critica due versioni: da un lato l'idea che “lo stato di "gorilla ammaestrato", a cui il fordismo vuol ridurre l'uomo operaio, sia passibile di renderlo più autonomo politicamente ... - senza cioè la coscienza portata dall'esterno - solo perché in grado di appassionarsi ad altro che non al vecchio mestiere”; dall'altro lato, l'idea che la classe operaia professionalizzata supererebbe la propria subalternità appropriandosi della conoscenza tecnica. “E' la spia dell'idealismo di Gramsci”, dell' “ordinovismo prigioniero del rapporto operai-padroni” che idealizza “come coscienza gestionaria-rivoluzionaria” degli operai qualificati, spinti dal favorevole mercato della forza lavoro a forti lotte nel 1919. Senza la consapevolezza che il movimento operaio può liberarsi dal giogo del capitale solo se si pone il problema del potere politico esce dalle fabbriche e rovescia lo Stato della borghesia, con lo scaricabarile PSI-CGL l’occupazione delle fabbriche nel 1920 segnerà non l’inizio della rivoluzione, ma quello della controrivoluzione fascista.
Parodi è molto attento alle ideologie che di volta in volta presentano sotto nuove forme la vecchia salsa opportunista alle giovani generazioni operaie, anche sulla base dei mutamenti tecnologici. Già nel 1975 affronta il problema delle innovazioni introdotte dall’informatica e smaga l’illusione di una “produzione virtuale” in cui non esistano più sfruttati e sfruttatori e in cui il plusvalore sia il prodotto asettico della tecnologia. Ideologie non nuove: Parodi ricorda come in chiusura dell’800 il capitano d’industria milanese Cesare Saldini (Cotonificio Cantoni e De Angeli) vedeva nell'elettricità una «“soluzione della questione sociale, come possibilità di decentrare il lavoro a domicilio: impedendo "quei grandi concentramenti di materiale meccanico e quegli agglomerati di operai che sono le brutte caratteristiche dell'industria moderna [...] la speranza si adagia su lavoratori a cui sono sconosciuti i nomi di sciopero, di resistenza e di rivendicazione". E' la ricorrente speranza utopistica della "rivoluzione tecnologica" - ieri elettrica, oggi informatica - con la quale attuare una "regolazione sociale" incruenta».

Ricordiamo volentieri la persona di Lorenzo Parodi come una forza della natura, pozzo inesauribile di conoscenze sul movimento operaio e il capitalismo italiano, che con una velocità incredibile collega fatti tra loro e ne trae la teoria, autodidatta che senza darsi arie sta molte spanne sopra tanti spocchiosi professori e uomini d’apparato.
Ripercorrendo i sentieri battuti dai nemici di classe, contro cui aveva in precedenza lottato dal suo banco di tornitore, Parodi ci ha lasciato strumenti preziosi per conoscere e combattere l’imperialismo di casa nostra.
 
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